Disordini alimentari

Nella società occidentale in cui viviamo il cibo è ormai considerato un generatore di piacere, sia per una maggiore attenzione ai sapori e alla qualità di ciò che mangiamo, sia per il piacere dell’estetica e dello status symbol che simboleggia un certo tipo di alimentazione.

Non è più qualcosa di necessario per sopravvivere, ma qualcosa che permette di vivere bene.

Tale cambiamento trascina con sé una maggiore complessità nel rapporto che si istaura con il cibo. Stiamo di fatti assistendo a una sempre maggiore diffusione dei disturbi alimentari.

Ragazze belle e giovani che si impongono restrizioni alimentari e diete esagerate, oppure che si abbuffano con lo scopo di vomitare per saziare quello che con il tempo diventa oltre che una compulsione piacevole anche una trappola dalla quale non si può e spesso non si vuole uscire. In questa sede il disturbo alimentare (se nella fase iniziale lo chiameremo disordine) non vuole essere considerata una malattia il cui trattamento richiede una lunga ricerca dei traumi infantili, ma è di fatto un serio problema da risolvere attraverso tecniche funzionali. Uscire dalla trappola che si è bellamente costruiti in anni è possibile anche in 6 mesi.

Di seguito le categorie diagnostiche che si presentano più frequentemente in studio:

Si verifica una progressiva e graduale diminuzione della quantità di cibo ingerita e ne consegue un calo di peso significativamente al di sotto del peso forma. Di base, c’è una distorsione nella percezione della propria forma fisica, come se si indossassero delle lenti deformanti per cui più il peso diminuisce più il corpo sembra gonfiarsi

I sintomi portati più spesso in seduta sono i seguenti:

  • Restrizione dell’assunzione di calorie in relazione alle necessità, che porta a un peso corporeo inferiore al minimo normale nel contesto di età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica.
  • Paura intensa di aumentare di peso o di diventare grassi. Anche minimi aumenti di peso possono essere un dramma.
  • Alterazione del modo in cui viene vissuto dall’individuo il peso o la forma del proprio corpo, eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima, oppure persistente mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale condizione di sottopeso.

Si verifica un’ingestione di massicce quantità di cibo che determina un incremento ponderale al di sopra del proprio peso forma. Si possono distinguere tre tipologie fondamentali:

  • Non ci sono vere e proprie abbuffate ma una continua ingestione di cibo durante tutto il corso della giornata (spizzicare di continuo...)
  • Ci sono periodi di controllo, in cui si segue una dieta e si verifica una perdita anche di molti chili, in alternanza a periodi in cui il controllo lo si perde e si sfocia in vere e proprie abbuffate;
  • Il cibo va a compensare un vuoto. È il caso di tutte quelle persone per le quali il cibo serve a compensare delle mancanze e a proteggersi. Il grasso rappresenta una corazza per proteggersi da eventuali sofferenze.

La ricerca-intervento avviata nel 1993 presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo sui disordini alimentari ha tra i suoi meriti quello di aver identificato una particolare forma di disturbo alimentare: la Sindrome da Vomito o Vomiting.

Inizialmente il disturbo si struttura utilizzando il vomito come compensazione per la paura di ingrassare. Dopo un certo periodo di tempo, come ogni cosa ripetuta un certo numero di volte, la persona inizia a scoprirne una gradevolezza, fino a che il mangiare e vomitare diventa un vero e proprio rituale compulsivo piacevole. In questi casi il piacere deriva non tanto dal concedersi i cibi ritenuti proibiti, quanto dall’espellerli attraverso il vomito.

Possono essere distinte diverse tipologie, le più frequenti delle quali sono:

  • Trasgressive pentite: Sono quelle persone che, dopo tanti anni di patologia, sono giunte alla valutazione di quanto stanno sacrificando della propria vita in nome della loro irrefrenabile compulsione e decidono pertanto, autonomamente, di chiedere aiuto per liberarsi da questo “demone”.
  • Trasgressive consapevoli e compiaciute: per la persona mangiare per vomitare è talmente piacevole da non riuscire a rinunciarci. Spesso la terapia è richiesta da un familiare, oppure indotta dall’invadenza del disturbo che è dilagante, o ancora dalla massiccia diminuzione di peso.

Circa il 70% di casi di patologia da vomiting, presenta compulsioni autolesive (self-harming compulsion). Sia il mangiare e vomitare, che le condotte autolesive rappresentano atti compensatori e autoregolatori che, con il passare del tempo, si trasformano in compulsioni irrefrenabili per poi diventare, un vero e proprio rito di piacere.

Si verifica un’alternanza tra digiuno e ingenti abbuffate, che possono verificarsi nell’arco di una settimana o anche della stessa giornata composta da un solo pasto che in realtà è un’abbuffata. La persona cerca di risolvere tramite il digiuno che, tuttavia, porta la persona a sentire sempre più la necessità ed il desiderio del cibo, tanto che nel momento in cui la persona se lo concede perde il controllo e non riesce a fare a meno di mettere in atto l’abbuffata. Per riparare il danno delle abbuffate sono spesso presenti alcune tentate soluzioni da parte della persona:

  • uso di lassativi e/o diuretici;
  • attività fisica smodata.

Le tentate soluzioni della famiglia, quando è coinvolta, consistono in:

  •  intervenire cercando di convincere la ragazza quando non mangia a mangiare di più, quando mangia troppo a mangiare meno;
  • parlare continuamente del problema in casa, che diviene il principale argomento di conversazione.

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